Il volto materno del diritto canonico

Edoardo Dieni

 

Indice

  1. "Maschile" e "femminile" nel cattolicesimo
  2. Stereotipi sessuali e "tipi" di diritto
  3. Un paradigma ambiguo: il diritto come "cura"
  4. Il diritto canonico come diritto della "cura"
  5. Alcuni esempi tratti dalla tradizione canonistica sul rapporto coniugale
 

 

1. "Maschile" e "femminile" nel cattolicesimo

In un famoso passo di Cattolicesimo romano e forma politica Carl Schmitt descriveva in toni ammirati l'" androginia " della Chiesa cattolica:

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Il papa trae il nome da Padre, e la Chiesa è madre dei credenti e Sposa di Cristo: una meravigliosa combinazione dell'elemento patriarcale con quello matriarcale, che permette di rivolgere e di orientare verso Roma le due correnti che determinano gli istinti e i complessi più primitivi, e cioè il rispetto per il padre e l'amore per la madre1.

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La teologia cattolica del novecento ha, come è noto, approfondito dogmaticamente - basti pensare a von Balthasar - la bipolarità sessuale2 che affascinava Schmitt, mentre gli studi storico-teologici degli ultimi decenni ne hanno rintracciato la trama risalente lungo i secoli3, sino alle fonti scritturistiche; sino, in particolare, a " ... quegli spunti che i Vangeli offrono per una considerazione di Gesù [...] come la persona che ha equilibrato in sé anche le dimensioni femminili e materne "4, e, più indietro ancora, sino alle metafore materne di Dio nell'Antico Testamento5. I documenti del Concilio Vaticano II - per rifarsi solo alla rilettura della tradizione prodotta dall'evento che nel Cattolicesimo segna la fine del secondo millennio - sono punteggiati dalla presenza, oltre che di Dio-Padre6, di Maria-Madre7 (assunta a modello dell'amore materno della Chiesa)8 e del topos della Madre-Chiesa9. È risaputo poi quanta parte abbiano, nel magistero pontificio contemporaneo, i modelli sessualizzati della " sponsalità ", e, in particolare, del " principio petrino " e del " principio mariano "10.

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2. Stereotipi sessuali e "tipi" di diritto

Una volta premesse come chiavi di lettura il doppio volto dell'Istituzione ecclesiastica (Rex tremendae majestatis da un lato, Mater misericordiae dall'altro), e l'associazione stereotipa rigidità-(patri-arcale-)maschile e flessibilità-(matri-arcale-)femminile, una citazione di Francesco Ruffini - celebre anch'essa, come quella di Schmitt - sembra prestarsi in modo peculiare ad essere interpretata quasi come una trascrizione giuridica dell'immagine schmittiana:

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Ha la Chiesa davvero un interesse a fissare in un codice l'intero suo diritto?... Stretta fra la rigidezza medievale delle sue linee direttive e l'incalzare e il premere dei tempi sempre mutabili e delle genti più diverse che mai ordinamento abbia in sé raccolte, essa ha potuto fin qui uscirne in un modo in cui si è addimostrata tutta la virtuosità del versatile spirito romano. Noi saremmo anche disposti a parlare addirittura, alla romana, di virtù; perché è stato certo un grande esperimento di abilità e di forza. Dove il protestantesimo ha provveduto ai mutabili indirizzi dei tempi e ai diversi umori degli uomini con la infinità delle sue variazioni, come le chiamava il Bossuet, o delle sue confessioni e denominazioni, come le diciamo noi; il Cattolicesimo ha posto la infinita varietà dei suoi provvedimenti od anche dei suoi espedienti.

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La Curia romana ha portato ad una eccellenza insuperabile l'arte di dire e non dire, di proibire insieme e di concedere, di badare a tutto e di dissimulare: temporum ratione habita. Che capolavoro di adattabilità pratica non è l'istituto delle dispense, una creazione tutta quanta ecclesiastica, che consente alla Chiesa di tener ferma la legge unica di fronte al cozzo di casi diametralmente opposti, di lasciar scritta la legge arcaica mentre la disciplina vigente la contraddice in tutto!11.

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Anche quella di Ruffini, ancorchè forse colorata di criticismo anticlericale, è, come quella di Schmitt, una descrizione ammirata di quell'unicum composto da rigorismo e lassismo, stretto diritto ed eccezione alla regola - autoritarismo patriarcale e indulgenza materna - che è l'ordinamento giuridico della Chiesa cattolica. Una complexio oppositorum la cui lettura in negativo vede gli ambiti di arbitrio che gerarchi infedeli al mandato ricevuto possono sfruttare a fini di puro potere; ma la cui lettura in positivo configura un sistema dinamico costantemente proteso a superare i propri assetti ogni qual volta questi si dimostrino incompatibili col valore originario che lo anima, la carità, di modo che se la tipicità di questo diritto consiste nell'essere atipico essa dipende dalla sua massima disponibilità a sacrificare la certezza formale della norma in nome di una certezza superiore, quella che si realizzi il bene del soggetto12. Così che si è potuto vedere in quegli strumenti peculiari a questo ordinamento, cui si ricorre per supplire a una lacuna formale o materiale della legge (in tale ultimo caso dovuta all'inapplicabilità della legge perché realizzatrice nella fattispecie di summa injuria alla stregua del parametro costituzionale della carità) " il punto di equilibrio tra l'elemento autoritativo-patriarcale e quello epicheietico-matriarcale "13.

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La contrapposizione - schematica e, in quanto tale, grossolana, ma si spera non priva di una qualche utilità euristica - tra diritto " maschile " e diritto " femminile ", " messa a reagire " con una sostanza sperimentalmente ideale quale l'ordinamento canonico, potrebbe essere scomposta in una serie di coppie oppositive relative ai singoli attributi che concorrono a definire gli stereotipi, quali: forte vs. debole, precettivo (o imperativo) vs. persuasivo (o esortativo), coattivo vs. mite, deduttivo-sillogistico(-dimostrativo) vs. induttivo-argomentativo(-retorico), autoritativo-monologico vs. liberale-dialogico, sanzionatorio vs. curativo14.

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3. Un paradigma ambiguo: il diritto come "cura"

L'ultima opposizione parrebbe forse esprimere meglio delle altre il diverso modo di concepire il diritto. La si può intendere infatti come descrittiva di due atteggiamenti di fondo - quello di chi chiede al diritto di fare rispettare una serie, in ipotesi anche molto estesa, di regole sociali, ma lasciando il foro interno fuori del giuridicamente rilevante15, e quello di chi ascrive al diritto la cura della felicità dei suoi soggetti. E si direbbe anche come riassumere in sé, rispettivamente, i singoli tratti enumerati come " maschili " (la sanzione come comando passibile di tradursi in coazione, inesorabilmente dedotto da premesse unilateralmente poste) e " femminili " (nella sua versione ideale la cura si accosta all'altro col rispetto di chi ripudia i metodi violenti; fa uso della sensibilità per comprendere senza pregiudizi i bisogni altrui; e pratica a questo scopo l'ascolto e il dialogo, cercando gli argomenti più adatti per persuadere)16. Tuttavia, in un senso lato, e in una prospettiva realistica, qualsiasi (concezione del) diritto sembra interpretabile in termini di " cura ": sia perché anche un diritto " minimo " si prende cura di quei pochi interessi che fa suoi, fosse pure con i rozzi strumenti di un cattivo precettore; sia perché la cura, archetipicamente femminile-materna essendone il rapporto madre/bambino la forma primordiale17, una volta generalizzata in una condizione di responsabilità-potere su un altro soggetto, viene pure in qualche modo resa neutra: in quanto tale può inclinare verso l'autoritarismo o il liberalismo come potrebbe un Pater essere liberale o una Mater essere autoritaria.

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Infatti, in quanto esercitata nei confronti di un " debole " - di chi ne ha bisogno, o comunque è impossibilitato a rifiutarla - la cura presuppone che chi la presta sia in una posizione di preminenza (l'adulto verso il bambino, il medico verso il malato, il giovane verso l'anziano; il legislatore verso il suddito, se si acceda all'idea di diritto come " cura ")18 - salvi però casi di cura " reciproca ", tra soggetti egualmente forti o egualmente deboli -, e nulla garantisce che questa forza venga orientata positivamente (a prescindere dalla buona fede di chi la detiene). Nella peggiore delle ipotesi, chi ha la responsabilità della cura può usare il suo potere per avvolgere il sottoposto in una rete protettiva di norme intese a regolarne unilateralmente (esercitando cioè una forma di violenza, ancorché " dolce ") i più minuti aspetti della vita, per penetrarne i recessi più intimi della coscienza, per ottenere il governo totale della persona - al fine, eventualmente, di condurla al Bene. Può verificarsi, cioè, la degenerazione del modello " materno " in un modello maternalistico, e di quello paterno - se anche il padre è chiamato alla cura - in un modello paternalistico19.

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Anche il modello della cura dunque, naturalmente, è ambiguo come è ambiguo il Potere, e, come questo, suscettibile di usi buoni o cattivi20.

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4. Il diritto canonico come diritto della "cura"

Pure nella prospettiva, solo da poco consapevolmente individuata, della " cura "21 - e del diritto come " cura "22 - la tradizione del cattolicesimo romano - e quella del suo diritto - sembra offrire, nel bene e nel male, una esperienza di tutto interesse, ed in termini abbastanza espliciti da poter essere colti con una certa facilità.

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Quella che oggi si chiama " etica del care " è, infatti, la versione moderna di un paradigma (nel quale può vedersi una originaria tensione escatologica)23 che sostanzia di sé, prima ancora del diritto, la stessa istituzione cristiana, la quale si autorappresenta come struttura incaricata di assistere gli uomini - creature, quindi per definizione deboli24 - lungo un percorso il cui termine alternativo è la morte (damnatio) o la vita (salus) eterna. Nella sua configurazione perfezionata nell'età gregoriana, e tuttoggi influente, l'istituzione si pone come un apparato somministratore di medicine (sacramenta-remedia) ai fedeli costantemente esposti alla malattia (morbum) del peccato; apparato costituito da quella parte di credenti più sana (sanior pars) che può fare da guida e da medico ai più infermi25, e che è abilitata a salvare con ogni mezzo il paziente, anche quando questo sia riluttante (" Heretici ad salutem etiam inviti sunt trahendi ": C. 23, q. 4, c. 38)26.

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Sicchè si è potuto affermare, non senza una qualche enfasi, che " [l]'intero sistema ecclesiale - in quanto sistema 'medicinale' e 'salvifico', legato a una religione storica che s'atteggia quoad essentiam a una religio redemptionis - fa perno alla fin fine sull'asse medico-malato-medicina "27.

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Assunto nel Cattolicesimo in termini formali e sistematici con il Concilio di Trento, il principio cura animarum suprema lex esto28 ha svolto, secondo una autorevole interpretazione, un ruolo decisivo per " ...l'individualizzazione moderna, diversa ma funzionalmente equivalente a quella della riforma protestante, alla quale in questo modo si intendeva reagire "29. Carico di questa ulteriore ambivalenza, esso accompagnerà la Chiesa della Controriforma lungo le sue vicende, che sono in buona parte processi di accentramento e di rafforzamento delle strutture preposte al governo di fedeli considerati in condizione di totale minorità - cioè alla loro cura30.

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Il paradigma della cura, così intimamente collegato all'istituzione ecclesiastica, non può dunque non ricorrere anche nelle manifestazioni giuridiche della stessa (e addirittura nella concezione generale del diritto del cattolicesimo: chi pone le leggi è, nella celebre definizione tomistica, colui che ha la cura communitatis)31. Nel Codex juris canonici del 1917 quella di cura animarum era locuzione così comune da scoraggiare l'inventario dei luoghi in cui compariva32. Nel Codex del 1983 (ove la parola " cura " e i suoi derivati diretti ricorrono 137 volte)33 essa viene ancora riservata, nella sua forma piena, al titolare del sacramento dell'ordine (can. 150), il quale, nella veste di confessore, è ancora tradizionalmente definito in termini che fondono l'attività di chi dice il diritto e applica la cura: judex et medicus (can. 978, § 1). E apprestatore di cure intese a guarire ed educare, a " medicare " piuttosto che a sanzionare, è chi esercita il potere giurisdizionale34, pure quando irroga una pena35.

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Le degenerazioni del modello curativo, nel diritto canonico, sembrano ravvisabili in tutti quei casi in cui il medicus, convinto della gravità della malattia (morbum peccati) che la sua conoscenza privilegiata gli ha permesso di diagnosticare, ha applicato forzosamente il trattamento terapeutico al suo subjectus, in ipotesi refrattario alla cura e ignaro del proprio stato patologico (o di esso non persuaso).

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Il diritto di famiglia sembra offrire alcune riscontri particolarmente nitidi in tal senso.

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5. Alcuni esempi tratti dalla tradizione canonistica sul rapporto coniugale

In effetti, lungi dall'essere stata ignorata dai canoni in cui erano disciplinate le forme di vita familiare36, la cura si direbbe semmai aver perloppiù subìto, in questi, una sorta di distorsione, dovuta al gravare di pesanti ipoteche culturali - a partire dal pessimismo sessuale cui si deve il " drenaggio " delle energie del sistema verso la predisposizione di strutture atte a minimizzare la concupiscentia carnis37, a scapito di istanze più spirituali (il mutuum adiutorium non ha mai occupato un ruolo centrale nel matrimonio canonico)38. Così che la " cura " (delle anime e dei corpi) è risultata modulata secondo priorità pedagogiche - proteggere il soggetto da se stesso, dalla sua infantile pulsione a mortaliter peccare contra sextum - suscettibili, nella prospettiva odierna, di valutazione critica: non è forse la tradizione " juscorporalista " del matrimonio39, che alla sensibilità contemporanea appare riduttiva, una particolare variante del modello curativo, in cui, ogni qual volta il malato ("aegrotis est in remedium", diceva del matrimonio Pietro Lombardo richiamandosi ad Agostino)40 reclama la cura dovuta contrattualmente (petitio debiti), il coniuge è tenuto a somministrargli la medicina del proprio corpo per curare omeopaticamente la malattia della concupiscenza (remedium concupiscientiae: can. 1017 § 1 C.j.c. 1917)41 secondo una posologia42 e un modo d'impiego (" de usu matrimonii ") prestabiliti? Una medicina - se non è indulgere troppo nel tipo di metafora sanitaria - appartenente al genere degli antipiretici: secondo per esempio Guglielmo d'Alvernia la funzione terapeutica del matrimonio era quella di " praestare magnum refrigerium contra ardorem concupiscientiae "43.

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L'individualismo moderno (e la sua versione giuridica) - che, per quanto sia paradossale, radica anche nel pensiero teologico della scolastica (e ha forse tratto linfa dal programma controriformistico di cura animarum) - non è l'ultimo dei fattori oppostisi a una tematizzazione diretta dei rapporti familiari come " cura " in un senso più personalista; esso è infatti sfociato in una stagione della morale - quella della Controriforma, per certi versi a tutt'oggi perdurante - la cui ben nota caratteristica è stata lo " smarrimento " della persona dietro il fittissimo reticolo di norme predisposte per guidarne l'azione44.

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Pure, al di fuori di questi registri in qualche modo viziati o distorti, sembra rintracciabile nel sistema una costante, che si è orientata, secondo le varie epoche, verso la protezione degli indifesi. Anche in questo senso, almeno, parrebbero potersi interpretare fondamentali episodi che hanno marcato la storia del matrimonio canonico, come il divieto di abbandonare la donna sterile45; o il permesso di sposarsi a chi non poteva coonestare la sessualità (sterili, vecchi, impotenti)46; o l'imposizione del vincolo " esterno " matrimoniale per potervi fondare l'obbligo di mantenimento anche quando il consenso fondativo del rapporto non era stato " matrimoniale " (matrimonio presunto)47; o, sin dalla decretale Ex litteris di Alessandro III (X.IV.1.10), la comminatoria di censura all'inadempiente la promessa di matrimonio (senza eccessive preoccupazioni per la libertà del consenso che veniva così coartato) 48; oppure ancora il matrimonio putativo per la funzione di garanzia nei confronti della parte in buona fede e dei figli49; ovvero l'istituzione della forma obbligatoria ad substantiam in quanto impediva alla parte più forte di abbandonare quella più debole profittando della difficoltà di provare la costituzione del rapporto50; e addirittura la ricezione di patti di convivenza e solidarietà tra persone dello stesso sesso che intendevano alleviare reciprocamente i pesi della vita, come documentano gli archivi parrocchiali che registravano i casi di " vivere a compagnia "51. Momenti, insieme a molti altri, i quali (benchè non sempre in via esclusiva) hanno voluto stigmatizzare, più o meno incisivamente, l'abbandono del più debole, e favorire forme di solidarietà interpersonale. Di modo che - anche in questa declinazione materiale e non ideologica: se si vuole, frammentaria - sebbene la cura diretta per chi, di volta in volta, è inerme, piccolo, " puer " (uno di " questi miei fratelli più piccoli ": Mt 25,40), non è stata esattamente " ...la storia [...] del cattolicesimo, è però di certo [in buona parte] storia dei formanti e dell'interpretazione del suo diritto "52.

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È interessante rilevare - sia pure solo per accenno - come gli " spazi vuoti " (o " meno pieni ") al cui interno era possibile alimentare queste istanze vennero ridotti: prima dalla progressiva attuazione del programma gregoriano, poi dal processo di pubblicizzazione e sacralizzazione del matrimonio della Controriforma. Si pensi all'introduzione della forma solenne obbligatoria che dunque agì non solo nel senso sopra accennato di proteggere i " deboli " - ma anche a un episodio emblematico come quello del breve Cum frequenter (1587), che toglieva avallo a quella forma di solidarietà interpersonale costituita dal " quasi matrimonium " degli " impotenti "53 e così irrigidiva il sistema matrimoniale. Questo processo è culminato nel diritto del Codex juris canonici del 1917 - testo legislativo che certificava la soppressione del matrimonio presunto, abrogava le sanzioni canoniche per l'inadempimento della promessa matrimoniale (e, analogamente, non censurava chi aveva prestato in mala fede consenso invalido), generalizzava la forma solenne ad substantiam recependo il di poco anteriore (1907) decreto " Ne temere ", nonché faceva obbligo alla parte pubblica di accusare d'ufficio il matrimonio degli impotenti come nullo54. Il Codice infatti - quel codice che Ruffini, nel passo sopra citato, si chiedeva se la Chiesa avesse interesse ad adottare, giusta la prevedibile cristallizzazione del suo diritto a scapito dell'adattabilità che gli era stata fino a quel momento consueta - segnava oggettivamente una semplificazione e un irrigidimento del sistema normativo55, che si conformava al modello napoleonico fatto di asserti lineari da cui dedurre sillogisticamente il precetto concreto, e si atteggiava dunque a sistema tendenzialmente chiuso e compiuto in se stesso. Il Codice segnava, si potrebbe dire, una decisa repressione del " lato femminile " del diritto canonico56.

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1 C. Schmitt, Cattolicesimo romano e forma politica. [La visibilità della Chiesa. Una riflessione scolastica], trad. it., Milano, 1986, p. 36.
Erich Fromm ha accostato, secondo un'interpretazione molto suggestiva anche dal punto di vista del giurista, il rapporto patriarcale/matriarcale nel cattolicesimo a quello che si ha nel protestantesimo: " Per poter capire l'essenza della religione patriarcale, dobbiamo solo ricordare [...] che [...] [l]'amore materno è incondizionato, protettivo, illimitato; poiché è incondizionato, non può essere controllato o conquistato. La sua presenza dà alla persona amata un senso di benessere; la sua assenza suscita un senso di disperazione e di squallore. Se la madre ama i suoi bambini perché sono i suoi bambini, e non perché sono "buoni", obbedienti o appagano i suoi desideri e obbediscono ai suoi ordini, l'amore materno è basato sull'uguaglianza. [...] Lo stadio successivo dell'evoluzione umana [...] è la fase patriarcale. In questa fase la madre è detronizzata dalla sua posizione e il padre diventa l'Essere Supremo, sia nella religione sia nella società. La caratteristica dell'amore paterno è che il padre fa delle richieste, stabilisce principi e leggi, e che il suo amore per il figlio dipende dall'obbedienza di quest'ultimo alle sue richieste. Egli ama di più il figlio che più gli somiglia, che è il più obbediente ed il più adatto a diventare il suo successore, l'erede dei suoi beni. (Lo sviluppo della società patriarcale va di pari passo con lo sviluppo della proprietà privata). Di conseguenza la società patriarcale è gerarchica; l'eguaglianza tra fratelli dà adito a competizioni e lotte. Se pensiamo alle civiltà indiana, egiziana o greca, o a quella giudaico-cristiana o all'islamitica, siamo in pieno mondo patriarcale, coi suoi dei maschi, sui quali regna un dio principale, o in cui tutti gli dei sono eliminati, ad eccezione di Uno, il Dio. Tuttavia, poiché l'amore per la madre non può essere sradicato dal cuore degli uomini, non c'è da sorprendersi se la figura della madre amorosa non possa mai essere eliminata dal pantheon. Nella religione ebraica, gli aspetti materni di Dio sono introdotti di nuovo, specialmente nelle varie correnti del misticismo. Nella religione cattolica la madre è simbolizzata dalla Chiesa e dalla Vergine. Perfino nel protestantesimo la figura della madre non è stata completamente sradicata, anche se rimane nascosta. Lutero stabilisce, come suo maggiore principio, che niente che l'uomo faccia possa meritargli l'amore di Dio. L'amore di Dio è la grazia, la tendenza religiosa ad aver fede in questa grazia, a rendersi piccoli e indifesi; nessun lavoro ben fatto può influenzare Dio - o può indurlo ad amarci - come le dottrine cattoliche sostenevano. Possiamo qui riconoscere che la dottrina cattolica del lavoro ben fatto fa parte del quadro patriarcale; posso procurarmi l'amore paterno con l'obbedienza e l'adempimento dei suoi ordini. La dottrina luterana, d'altro canto, ad onta del suo carattere patriarcale, porta con sé molti elementi matriarcali. L'amore materno non può essere conquistato: o c'è, o non c'è; tutto ciò che posso fare è aver fede (come dice il salmista: "Tu fammi aver fede nel seno di mia madre" [Salmo 22, 9]). Ma è caratteristica della fede di Lutero che la figura della madre sia stata eliminata dal quadro e sostituita da quella del padre; all'incertezza di essere amato dalla madre si sostituisce la speranza di un amore paterno incondizionato ". (E. Fromm, L'arte di amare, trad. it., Milano, 19682, pp. 85-87).

2 Cfr., a titolo d'esempio, due rassegne critiche utili anche per gli apparati bibliografici: C. Giuliodori, Intelligenza teologica del maschile e del femminile, Roma, 1991 (che si sofferma su von Balthasar per il versante cattolico; bibliografia alle pp. 263-274); A. Amato, Paternità-Maternità di Dio. Problemi e prospettive, in Id. (ed.), Trinità in contesto, Roma, 1994 (ove si discutono altri autori contemporanei; bibliografia ragionata alle pp. 273-296). Più in generale, sui rapporti di genere in prospettiva teologica, non soltanto cattolica, cfr. i contributi raccolti in X. Lacroix (ed.), Homme et femme, cit.; C. Militello (ed.), " Che differenza c'è? ". Fondamenti antropologici e teologici della identità femminile e maschile, Torino, 1996.
La diade come principio metafisico che si esprime nella dipolarità sessuale è stata assunta addirittura a paradigma cosmologico, sulla scorta dell'opposizione simbolica taoista Yang/Yin, da F. Capra, Il Tao della fisica, trad. it., Milano, 1989.

3 Cfr., ancora a titolo d'esempio, C.W. Bynum, Jesus as Mother. Studies in the Spirituality of the High Middle Ages, Berkley-London, 1982; K.E. Børresen, Le madri della Chiesa. Il Medioevo, Napoli, 1993, anche circa le metafore femminili di Dio elaborate dai padri della Chiesa; G. Zarri, Gender, Religious Institutions and Social Discipline: The Reform of the Regulars, in J.C. Brown - R.C. Davies (edd.), Gender and Society in Renaissance Italy, London - New York, 1998, pp. 193-212, per un'analisi del rapporto di genere nella professione monastica.

4 Cfr. G.P. Di Nicola, Uguaglianza e differenza. La reciprocità uomo-donna, Roma, 1989, p. 229, con rinvii. Adde E. Schüssler Fiorenza, Gesù figlio di Miriam, profeta di Sophía. Questioni critiche di cristologia femminista, trad. it., Torino, 1996.

5 Cfr. L. Boff, Il volto materno di Dio. Saggio interdisciplinare sul femminile e le sue forme religiose, trad. it., Brescia, 1981, pp. 84 e ss. Adde V. Raney Mollenkott, Dio femminile. L'immaginario biblico di Dio come donna, trad. it., Padova, 1996; I. Gómez-Acebo, Dio è anche madre. Riflessioni sull'Antico Testamento, trad. it., Cinisello Balsamo, 1996, anche per la bibliografia.

6 Lumen gentium, nn. 15, 28, 41, 51; Dei Verbum, n. 3; Gaudium et spes, nn. 21, 92; Unitatis redintegratio, nn. 7, 15, 20; Presbiterorum ordinis, nn. 2, 5; Gravissimun educationis, n. 2; Nostra aetate, n. 5; Dignitatis humanae, n. 15; Ad Gentes, 2, 11.
Sul topos cfr. il fascicolo monografico di Concilium 3/1981, curato da J.B. Metz e E. Schillebeeckx, Dio come Padre?.

7 Sacrosanctum Concilium, n. 103; Lumen gentium, nn. 15, 46, 52, 54, 56, 57, 60, 61, 62, 63, 65, 69; Unitatis redintegratio, n. 15; Orientalium Ecclesiarum, n. 30.

8 Lumen gentium, n. 65.

9 Sacrosanctum Concilium, nn. 14, 60, 85, 102, 122; Lumen gentium, nn. 6, 14, 15, 42; Dei Verbum, nn. 11, 19; Gravissimum educationis, Proemio; Inter mirifica, n. 2.
Il 15 maggio 1961 Giovanni XXIII aveva dato l'enciclica Mater et magistra.

10 Il magistero romano ha fatto propria, sul punto, l'elaborazione della teologia " sessuata " di H.U. von Balthasar, il quale, su ispirazione di Adrienne von Speyr (cfr. A. von Speyer, Mistica oggettiva, antologia degli scritti a cura di B. Albrecht, Milano, 19852, pp. 180-182) distingue un principio maschile (" petrino ") e un principio femminile (" mariano ") nella Chiesa, in rapporto di reciproca inclusione, nel senso che il maschile trova il suo arricchimento nel convertirsi al femminile e viceversa (cfr. Lo Spirito e l'istituzione, trad. it., Brescia, 1979). L'Adhort. apost. Mulieris dignitatem, cita espressamente il teologo svizzero al n. 27, in nt. 55.
È rimasta celebre l'affermazione di Giovanni Paolo I, nel discorso all'Angelus del 10 settembre 1978, secondo cui " Dio è papà; più ancora è madre ".
Analizza il simbolismo, vincolato al genere, del sacerdozio tradizionale per come viene rappresentato dalla teologia di curia, H. Häring, Una facoltà non concessa a Gesù? Analisi del documento di Roma, in Concilium, 35 (1999), pp. [431]29-[436]34.
Per una prospettiva teorica e teologica più generale, cfr. C. von Braun, La codificazione culturale del corpo maschile e del corpo femminile, in Concilium, 38(2002), pp. 46[206]-61[-221].

11 F. Ruffini, La codificazione del diritto ecclesiastico, in Studi di diritto in onore di V. Scialoja, II, Milano, 1905, ora in Id., Scritti giuridici minori, Milano, I, 1936, pp. 93-95.

12 Cfr. S. Berlingò, Diritto canonico, Torino, 1995, p. 28.

13 R. Mazzola, Il diritto vivente nell'ordinamento giuridico della Chiesa, in R. Bertolino - S. Gherro - G. Lo Castro (edd.), Diritto 'per valori' e ordinamento costituzionale della Chiesa, Torino, 1996, p. 321.

14 Specialmente in diritto internazionale (un diritto nel quale i rapporti di forza sono evidenti più che altrove) è diffusa l'opposizione Hard Law vs. Soft Law, sulla quale cfr. per tutti D. Shelton (ed.), Commitment and Compliance. The role of non-Binding Norms in the international Legal Sistem, Oxford (England) - New York, 2000, e in particolare l'introduzione della curatrice: Law, Non-Law and the Problem of 'Soft Law'. Come emerge anche da questo studio, però, un diritto " debole " non significa necessariamente un diritto inefficace.
Sul fenomeno recente qualificato come droit mou (non coincidente col droit flou) o droit vert o droit à l'état gazeux o droit assourdi o droit recommandé, che si caratterizza per l'impiego di regole di condotta non coercibili da un lato, e per la partecipazione degli interessati all'elaborazione della norma dall'altro, cfr., anche per richiami bibliografici, P. Deumier, Le Droit spontané, Préface de J.-M. Jacquet, Paris, 2002, pp. 258-259.
Critiche alla sessualizzazione dei dualismi del tipo razionalità/emotività, cultura/natura, astratto/contestualizzato, impersonale/personalizzato, e alla loro gerarchizzazione, vengono mosse dall'esponente dei Critical Legal Studies Frances Olsen, che mette in discussione i confini tra i concetti contrapposti e ne nega la non-identità assoluta (cfr. Feminism and Critical Legal Theory: An american Perspective, in The International Journal of Sociology of Law, 1990, [18, 2], p. 205). Olsen censisce altri due possibili atteggiamenti in rapporto ai " dualismi sessualizzati ". Uno è quello di chi accetta la gerarchia del primo termine della coppia sul secondo, ma ne nega l'associazione con il "maschile" (l'Autrice attibuisce questa posizione al Women's Right Movement statunitense). L'altro è quello di chi accetta la sessualizzazione dei dualismi, ma ne rifiuta la gerarchizzazione (e in questa categoria viene annoverata Carol Gilligan, autrice del celebre In a different voice, che giurista non è, ma le cui tesi vengono considerate predisposte a fondare un'idea del diritto ridotta alle categorie " maschili ", meritevole di critica per la funzionalità al mantenimento di un ordine patriarcale). Su Olsen, cfr. T. Pitch, Un diritto per due. La costruzione giuridica di genere, sesso e sessualità, Milano, 1998, pp. 210-213.

15 È il modello hobbesiano, nel quale la possibilità che ciascun individuo conservi una propria concezione della giustizia e della felicità, fatto salvo il rispetto esteriore per i comandi del sovrano, segna " il grande punto d'irruzione del moderno liberalismo " (C. Schmitt, Il Leviatano nella dottrina dello Stato di Thomas Hobbes. Senso e fallimento di un simbolo politico, trad. it. in Id., Scritti su Thomas Hobbes, a cura di C. Galli, Milano, 1986, p. 106), e determina l'assorbimento di tutte le idee di verità e giustizia nella decisione del comando legale. " L'uomo è ormai concepibile come atomo irrelato ad alcun vincolo organico, ad alcun contesto comunitario " (G. Zanetti, Amicizia, felicità, diritto. Due argomenti sul perfezionismo giuridico, Roma, 1998, p. 50).

16 La descrizione di un diritto della cura amorevole, flessibile, persuasivo si trova nel IV principio approvato dal Sinodo dei Vescovi che tracciò nel 1967 le direttive per la riforma della codificazione canonica (cfr. Communicationes, 1:1969, pp. 79-80); essa è ripresa nella Praefatio al Codex juris canonici del 1983: " Ad curam pastoralem animarum quam maxime fovendam, in novo iure, praeter virtutem iustitiae, ratio habeatur etiam caritatis, temperantiae, humanitatis, moderationis, quibus aequitati studiatur non solum in applicatione legum ab animarum pastoribus facienda, sed in ipsa legislazione, ac proinde normae nimis rigidae seponantur, immo ad exhortationes et suasiones potius recurratur, ubi non adsit necessitas striati iuris servandi propter bonum publicum et disciplinam ecclesiasticam generalem ". E un'attenzione " retorica " all'uditorio è richiesta dal can. 769 del medesimo Codex: "Doctrina christiana proponatur modo auditorum condicioni accomodato atque rationi temporum necessitatibus aptata ".

17 Sul " modello materno " si possono ricordare quelli che sono ormai divenuti due classici, suscitatori di incontrollabile letteratura secondaria: N. Chodorow, The Reproducing of Mothering. Psychoanalysis and Sociology of Gender, Berkeley, 1978 (trad. it. La funzione materna, Milano, 1991), e S. Ruddick, Maternal Thinking. Toward a Politics of Peace, New York, 1989 (trad. it. Il pensiero materno, Como, 1993).

18 Nel diritto canonico, alla vigilia del Concilio Vaticano II, si è rilevato che l'" organizzazione gerarchica [...] sembra costituire il logico e necessario presupposto della cura d'anime. Infatti, se per cura d'anime deve intendersi, in base allo schema tipico dell'ordinamento canonico, quel complesso di poteri e doveri istituzionalmente conferiti a determinati soggetti per provvedere ai bisogni spirituali dei fedeli, appare assai difficile, in linea di principio, ammetterne l'esistenza in quelle comunità, nelle quali i singoli membri si considerano legati tra loro da rapporti di natura meramente spirituale su di un piano di assoluta parità ": cfr. T. Mauro, Cura d'anime, in Enc. Dir., XI, Milano, 1962, p. 485. L'affermazione sembra ancora attuale nella misura in cui la Chiesa post-conciliare non si è emancipata, se non molto parzialmente, dai pregressi modelli gerarchici. La possibilità tecnica di una alternativa sarebbe quella di una cura " reciproca " tra soggetti di pari dignità, eventualmente avvicendantisi ciclicamente nella " cura " degli altri. In questa direzione è stato colto nel dibattito della teologia femminista contemporanea un " paradigma della cura d'anime condivisa o contestuale ", su cui cfr. H. Mayer-Wilmes, Molteplicità dei ministeri in una chiesa postmoderna, in Concilium, 35 (1999), pp. [521]119-[522]120, che richiama come esemplificativo il testo di E. Schüssler Fiorenza, Disciples as equals. A Critical Feminist Ekklesia-logy of Liberation, New York, 1993. L'ipotesi più immediata è quella di un rapporto di coppia paritario, in cui non esista più una donna debole che debba essere "retta" paternalisticamente dal marito (come nella tradizionale versione del principio di " capitalità "), ma due compagni che si sostengono vicendevolmente. Si tratta di un modello che, almeno sul piano teorico (utopico?) potrebbe tuttavia ben essere esteso a quella " grande famiglia " che è l'intera comunità ecclesiale.
Forse può essere interessante notare come a una celebre lettura psicanalitica dell'assetto dualista chierico/laico del cattolicesimo, quella di Eugen Drewermann, sia stato rimproverato di riprodurre in qualche modo, attraverso la reinterpretazione della funzione presbiterale in termini di funzione terapeutica, un assetto dispari della comunità, in cui il sacerdote-terapeuta prende il posto del sacerdote-gerarca come mediatore necessario tra l'individuo e Dio: cfr. P. Hoffmann, Vangelo senza sacerdoti?, in P. Eicher (ed.), La controversia sui chierici. La sfida di Eugen Drewermann, trad. it., Brescia, 1991, pp. 229-230.

19 Sull'analisi tocquevilliana che ha segnalato la paradossale saldatura dell'atomismo sociale con una funzione " paterna " del potere democratico, " intesa però nei suoi aspetti regressivi: una funzione di tutela e di cura da cui esso trae la sua autorità esercitando una coercizione dolce e invisibile che induce negli individui una sorta di acquiescenza passiva, inibendone ogni autonoma crescita ", cfr. E. Pulcini, L'individuo senza passioni. Individualismo moderno e perdita del legame sociale, Torino, 2001, pp. 154 e ss. Per il rapporto tra propensioni paternalistiche dell'autorità e tecniche del diritto, cfr. J. Feinberg, Legal Paternalism, in Canadian Journal of Philosophy, 1 (1971), pp. 105-124; H. Häyry, Legal Paternalism and Legal Moralism: Devlin, Hart and Ten, in Ratio Juris, 5 (1992), pp. 191-201.

20 Sembra bene esprimere l'ambiguità e pericolosità di un modello eudemonologico del Diritto centrato sul paradigma della cura il fatto che la percezione odierna di questo paradigma sia stata vista come un positivo fattore dinamico in rapporto al " conflitto tra diritto spersonalizzante/autoritario e diritto umano/democratico ", mentre se ne è segnalata la tendenza a scivolare verso derive integraliste in rapporto al conflitto tra " diritto laico (incompetente circa le credenze dei cittadini) e diritto neoreligioso ": cfr. M. Ventura, La legge nella cura; la legge della cura. Sui rapporti tra diritto, credenze e terapia, in L'arco di Giano, 19/1999, p. 36.

21 Come nota Laura Balbo nell'Introduzione (L'Europa: (forse) una società-con-cura, una società del lifelong learning) a D. Demetrio - E. Donini - B. Mapelli - S. Natoli - M. Piazza - A. Segre, Il libro della cura. Di sé degli altri del mondo, Torino, 1999, p. 7, almeno nel linguaggio delle scienze sociali italiane di non molto tempo fa la parola e il concetto di " cura " erano " inusuali o meglio, inesistenti ". Il recente e rapido emergere di questo paradigma sembra gravido di conseguenze " ancora quasi del tutto inesplorate "; " ciò che sembra certo è che esso catalizza una domanda trasversale di nuova etica, di nuova centralità del femminile, di flessibilità e pluralismo socioculturale ": cfr. M. Ventura, La legge nella cura, cit., p. 32. Una panoramica sull'indirizzo in campo morale è offerta da V. Franco, Etiche possibili. Il paradosso della morale dopo la morte di Dio, Roma, 1996, pp. 159-201; un testo che fa propria la prospettiva della cura con ampia bibliografia è V. Held, Etica femminista. Trasformazioni della coscienza e famiglia post-patriarcale, Milano, 1997. G.P. Di Nicola, Il linguaggio della madre. Aspetti sociologici e antropologici della maternità, Roma, 1994, pp. 121-122, offre un'interpretazione in termini di cura della triade ricoeuriana potere-fragilità-responsabilità.

22 Oltre i precedenti relativi all'uso delle metafore medicinali a proposito della giustizia in Platone (per esempio nel Gorgia), nella tradizione occidentale del diritto l'idea di cura si trova, naturalmente, fin dal diritto romano, che le ha fornito la stessa terminologia (cfr. per esempio G.G. Archi, Curatela, a) Diritto romano, in Enc. Dir., XI, Milano, 1962, pp. 489-494): è ben noto come " cura " fosse non solo lo strumento privatistico per supplire all'inabilità di un soggetto, ma anche la figura pubblicistica che descriveva la sfera di competenza dei magistrati durante la repubblica e dei funzionari durante l'impero, sino ad essere generalizzata in una cura morum et legum prerogativa dell'imperatore (sulla quale cfr. Bl. Parsi-Magdelan, La cura morum et legum, in Revue Historique de Droit français et étranger, 42 :1964, pp. 376-389). Nell'età di mezzo (sulla quale cfr. per esempio A. Marongiu, Curatela, b) Cura (diritto intermedio), in Enc. Dir., XI, Milano, 1962, pp. 495-497), il termine assunse il senso di governo, ufficio. Dopo la Rivoluzione francese (che esordisce con un Comitato di salute pubblica) il trapasso da un ancoraggio trascendente (" verticale ") del potere sul corpo sociale ad una fondazione immanente dello stesso nel corpo sociale determina - è stato detto - " ...quella solidarietà fra l'atteggiamento terapeutico e l'atteggiamento politico che segna la società contemporanea " ove il " il potere giuridico-normativo funziona come potere terapeutico ..." (cfr. G. Dalmasso, Natura, repressione e scienza della politica, in Id. [ed.], La società medico-politica. Teorie sul soggetto politico nella Francia post-rivoluzionaria. Testi di Saint-Just, Destutt de Tracy, De Maistre, Degénerando, Fourier, Saint-Simon, Milano, 1980, pp. 20-21; corsivo nell'originale; sull'atteggiarsi del potere giuridico-normativo a potere terapeutico cfr. M. Foucault, Les jeux du pouvoir, in Id.¸Politique de la Philosophie, Paris, 1975): non l'invenzione - si direbbe - ma la trasformazione per " secolarizzazione " dell'idea del potere come " cura ". Sebbene sia sempre possibile scorgere nelle odierne concezioni del diritto assunti più o meno paternalistici, definizioni dell'ordinamento giuridico in termini di " cura " non sembrano particolarmente diffuse o popolari - meno, comunque, di quelle in termini di " servizio " o " ministerialità " care ai giuristi cattolici. Tra questi ultimi risolve tuttavia il diritto nella " cura ", interpretando " le tre modalità elementari della normatività - prescrivere, vietare, permettere - " come " ...altrettante modalità dell'aver cura del soggetto quanto al suo essere ", S. Cotta, voce Pace, in Dig. Disc. Priv., Sez. Civ, XIII, Torino, 1995, p. 220.

23 Per l'ipotesi che l'" idea di al-di-là " sia comparsa con le parole della cura, cfr. D. Demetrio, Protetti dalle nostre parole. La narrazione come cura interiore, in D. Demetrio - E. Donini - B. Mapelli - S. Natoli - M. Piazza - A. Segre, Il libro della cura, cit., p. 52.

24 Esiste una tradizione " negativa " della cura, che origina in Agostino e giunge alla fenomenologia contemporanea, per la quale essa esprime la tendenza del soggetto a destrutturarsi - la sua natura fragile, mortale, finita - attraverso l'inseguimento (cura) di qualcosa d'altro (curiositas) che lo distolga dall'angoscia. " Non è questa appunto l'inconsistenza ontologica, la dipendenza e contingenza radicale della creatura, il cui corrispettivo vissuto è l'inquietudine e la cura, e il cui modo è la temporalità, questo essere costantemente perduto e rinviato, mai posseduto, compiuto solo nella morte? ". Cfr. R. De Monticelli, L'ascesa filosofica. Studi sul temperamento platonico, Milano, 1995, p. 167. Ad Amore e cura è dedicato il saggio VII di quelli raccolti nel libro, ma cfr. anche pp. 94 e 140-144.
Sviluppa l'idea che nascere significa dipendenza, contro l'heideggeriano essere " gettati nel mondo " degli individui, Ch. Battersby, Phenomenal Woman: Feminist Metaphysics and the Patterns of Identity, New York, 1998.

25 Per una lettura molto nitida ravvisante tuttora nel cattolicesimo postconciliare una figure grégorienne de l'Église, la quale " ...implica una coscienza molto viva del peccato originale, che vive nella concupiscenza dell'uomo, e del pericolo di dannazione; ciò mette in risalto l'aspetto medicinale dei sacramenti e l'importanza della figura del prete che li può amministrare ", cfr. Gh. Lafont, Storia teologica della Chiesa cattolica. Itinerario e forme della teologia, trad. it., Cinisello Balsamo, 1997, p. 293; e, più ampiamente, Id., Imaginer l'Église catholique, Paris, 1996, cit., pp. 49-84.
Alla riforma gregoriana risale, com'è noto, l'istituzione dell'obbligo annuale per tutti i fedeli di confessare i peccata mortalia (canone XXI del Concilio Lateranense IV, 1215) che sostituiva alla pubblica confessione capitolare la privata confessione auricolare: passaggio fondamentale, ribadito dal Concilio di Trento (Sess. XIV, cap. V) attraverso cui il sacerdote-medico potrà auscultare la coscienza del fedele alla ricerca della malattia del peccato.
Sulla figura del " curato " nella Chiesa d'occidente, cfr. per tutti N. Lemaitre (ed.), Histoire des curés, Paris, 2002, con i relativi apparati bibliografici.

26 Ma si veda in tal senso tutta la parte VII della C. 23, cc. 37-48.

27 Cfr. P. Bellini, Libertà e dogma. Autonomia della persona e verità di fede, Bologna, 1984, p. 142; l'insigne canonista ha parlato ancora, a questo proposito, di una " ...concezione antropologica insieme pessimistica e ottimistica. La quale raffigura bensì l'uomo come un essere malato: come un infermo dalla nascita, minato da una tara ereditaria, e incapace di guarigione 'per sua tantum natura'. E lo rappresenta come un essere insidiato ad ogni passo delle energie prevaricatrici della concupiscenza. Ma lo fa beneficiario - in pari tempo - della sollecitudine di Dio ": Legislatore, giudici, giuristi nella esperienza Teocentrica della respubblica cristiana, in Id., Saggi di storia della esperienza canonistica, Torino, 1991, pp. 119-120. Con riguardo all'attenzione del diritto canonico (anche) per il corpo fisico del fedele, si è affermato che questo diritto è un diritto sanitario - quindi, potrebbe pure dirsi, della " cura " - perché protegge un luogo che è la sede dell'anima: cfr. J.-P. Baud, L'affaire de la main volée. Une histoire juridique du corps, Paris, 1993, p. 136.
Più in generale - è stato detto -, " il carattere intrinsecamente immunitario della religione risiede precisamente nella sovrapposizione funzionale dei due versanti del sacro e del santo [...]. È, cioè, iscritto nel punto d'incrocio tra paradigma biomedico e paradigma giuridico ". Paolo, interpretando il popolo di Dio " secondo la metafora organicistica del corpo e della corporazione, lo consegna inevitabilmente alla semantica immunitaria. Lo sottomette, cioè, alla logica della sua conservazione attraverso regole biologiche e giuridiche che salvaguardano dal male incorporandone il principio: vale a dire non solo la dialettica speculare di legge e peccato, ma anche il meccanismo omeostatico secondo il quale la colpa degli uomini può, e deve, essere giuridicamente compensata dal sacrificio di un innocente ": R. Esposito, La religione tra comunità e immunità, in MicroMega. Almanacco di filosofia, 2/2000, pp. 111, 114.

28 Per il decreto di riforma della Sessio VII in cui venne recepito questo indirizzo cfr. H. Jedin, Il concilio di Trento, trad. it., II, Brescia, 1962, p. 422.

29 W. Reinhard, Il concilio di Trento e la modernizzazione della Chiesa. Introduzione, in P. Prodi - W. Reinhard (edd.), Il concilio di Trento e il moderno, Bologna, 1996, p. 38.

30 Con riguardo al processo di irrigidimento attraversato dalla Chiesa nella fase più accesa del contrasto con la modernità, viene subito alla mente l'enciclica Quanta cura (8 dicembre 1864), in cui la cura di cui al titolo è quella, cui si richiama in esordio Pio IX, dei successori di Pietro nel proteggere dall'errore i fedeli.

31 Summa Theol., I-IIae, q. 90, a. 4: " lex est ordinatio rationis ad bonum commune, ab eo qui curam communitatis habet, promulgata ".

32 Cfr. G. Forchielli, Cura d'anime, in Nov. Dig. It., V, Torino, 1960, p. 48, il quale rilevava, nella bibliografia premessa alla voce, come non esistesse tuttavia una letteratura particolare dedicata alla " Cura animarum ", risultando l'argomento assorbito nelle trattazioni sulla parrocchia - giacchè è il parroco o " curato " il normale responsabile di questa cura.

33 Computando i sostantivi cura, curator, curatela e le voci del verbo curare; l'aggettivo accuratus e l'avverbio accurate figurano altre 19 volte.

34 Cfr. per esempio Paolo VI, Allocuzione alla S.R. Rota dell'8 febbraio 1973: " bisognerà vigilare non solamente per tutelare l'ordine giuridico, ma altresì per guarire ed educare, dando prova di vera carità. L'esercizio pastorale del potere giudiziario è piuttosto medicinale che vendicativo ".

35 Il C.j.c. 1983 non ha tuttavia recepito, come è noto, la direttiva del Sinodo dei vescovi del 1967 (cfr. Communicationes, 1:1969, pp. 77-85) secondo la quale tutte le pene avrebbero dovuto essere medicinali e non vendicative, essendo tale distinguo conservato dalla legislazione riformata. Sulla " metafora medicinale " nel diritto penale canonico, cfr. R. Botta, La norma penale nel diritto della Chiesa, Bologna, 2001, pp. 52-55, che le attribuisce una funzione creatrice di continuità terminologica e teologica tra penitenza e pena.

36 Né è stata ignorata - sarebbe possibile aggiungere - dai canoni che hanno disciplinato in Occidente, con la struttura gerarchica della Chiesa, la vita dei fedeli partecipi della classe clericale, e per questo esclusi, in quanto celibatari, dalle cure e dalle reti di solidarietà di una famiglia di sangue. Secondo quella che potrebbe esser detta la " teoria psicanalitica del beneficio ecclesiastico ", infatti, il chierico è come un figlio che attinge alle risorse dedicate al suo sostentamento - alla sua cura - dalla Chiesa, madre-nutrice, la quale ne ricava in cambio totale dedizione filiale. Cfr. P. Legendre, Gli scomunicanti. Saggio sull'ordine dogmatico, trad. it., Venezia, 1976, pp. 199 e ss.

37 D'uopo un richiamo a M. Foucault, La cura di sé (Storia della sessualità 3), trad. it., Milano, 19953, la cui lettura coglie nel movimento di riflessione morale, medica e filosofica dell'antichità pagana successivo al IV secolo lo sviluppo di un'arte dell'esistenza, dominata dalla cura di sé, che mette sempre più in risalto la fragilità dell'individuo nei confronti dei diversi mali che l'attività sessuale può generare; in parte continue, ma in parte discontinue rispetto a tale concezione, le morali successive, segnate dal cristianesimo, " ...definiranno altre modalità del rapporto con se stessi: una caratterizzazione della sostanza etica a partire dalla finitudine, dal peccato e dal male; un modo di assoggettamento nella forma dell'obbedienza a una legge generale che è al tempo stesso volontà di un dio personale; un tipo di lavoro su di sé che implica decifrazione dell'anima ed ermeneutica purificatrice dei desideri; un modo di adempimento etico che tende alla rinuncia di sé " (p. 237).

38 Sull'" occasione mancata " dalla dottrina canonistica per riconoscere anche all'humanitatis solatium il rango di finalità autonoma dell'istituto coniugale, cfr. F. Cantelar Rodríguez, El objeto del consentimiento matrimonial en la doctrina medieval, in Curso de derecho matrimonial para profesionales del foro, III, Salamanca, 1978, pp. 58-59, con l'indicazione delle fonti in nota.

39 Sulla tradizione canonistica che ha considerato e considera il matrimonio essenzialmente un contratto in virtù del quale le parti si attribuiscono reciprocamente il diritto sul corpo, perpetuo ed esclusivo, in ordine agli atti in sé idonei alla procreazione, cfr. E. Dieni, Tradizione "juscorporalista" e codificazione del matrimonio canonico, Milano, 1999.

40 Sententiarum libri quatuor, IV, d. 26, c. 2, in PL 192, col. 909. La malattia, naturalmente, è l'"Infirmitas [...] incontinentiae, quae est in carne per peccatum mortale" (ibidem).

41 Cfr. C. 27, q. 1, c. 41.

42 Di " posologie du remède " parla M. Bernos, Le Concile de Trente et la sexualité. La doctrine et sa postérité, in Id. (a cura di), Sexualité et religions, Paris, 1988, pp. 225-229.

43 De sacrosanto matrimonio, c. 9, ed. Venetiis, 1591, p. 520.

44 Addirittura, come è stato rilevato, per tutto il XVII secolo la carità, che è oggi considerata il tema centrale della morale cristiana, è risultata assente dalle trattazioni di teologia morale (cfr. Ph. Delhaye, La Charité reine des vertus, in La Vie Spirituelle - Supplément, 41 :1957, pp. 135-172). E, ravvisandone le cause nella sclerotizzazione della filosofia neoscolastica delle essenze immutabili, si è parlato esplicitamente di una " ...fase aberrante - precettistico-razionalistica e in definitiva atea - della legge naturale cattolica dal XVI al XX secolo " (E. Chiavacci, Legge naturale, in L. Rossi - A. Valsecchi (a cura di), Dizionario enciclopedico di Teologia morale, Torino, 1973, p. 566.

45 " Sterilem uxorem dimittere et causam foecunditatem aliam ducere, alicui non licet " (è il titolo sotto il quale il Decretum cita due passaggi di sant'Agostino che proibiscono il ripudio della moglie infeconda: C. 32, q. 7, c. 27-28).

46 Per l'illustrazione della legislazione e della dottrina che legittimavano questi tipi di unione cfr. per tutti P.A. d'Avack, Cause di nullità e di divorzio nel diritto matrimoniale canonico, Firenze, 1952, pp. 431-432, 442-448, 474-483

47 Sulla storia del matrimonio presunto J. Dauvillier, Le mariage dans le droit classique de l'Eglise depuis le " Décret de Gratien " (1140) jusqu'à la mort de Clément V (1314), Paris, 1933, pp. 55-75 ; P. Ciprotti, Il matrimonio presunto, in Arch. Dir. Eccl., 2(1940), pp. 299-318 e 446-465; J. Mullenders, Le mariage presumé, Roma, 1971; quanto ai profili dell'applicazione giurisprudenziale dell'istituto, A. Lefebvre-Teillard, Les officialités à la veille du Concile de Trente, Paris, 1973, pp. 177-178, e gli atti di alcuni dei processi commentati nel volume a cura di S. Seidel Menchi e D. Quaglioni, Matrimoni in dubbio. Unioni controverse e nozze clandestine in Italia dal XIV al XVII secolo, Bologna, 2001, e contenuti nel CD-Rom allegato all'opera, sui quali S. Seidel Menchi, Percorsi variegati, percorsi obbligati. Elogio del matrimonio pre-tridentino, ibidem, pp. 43 e 54-56.

48 Cfr. A. Lefebvre-Teillard, Ad matrimonium contrahere compellitur, in Rev. Dr. Can., 28 (1978), pp. 210-217, e Id., Introduction historique au droit des personnes et de la famille, Paris, 1996, pp. 281-283; G. Dossetti, La formazione progressiva del negozio nel matrimonio canonico. Contributo alla dottrina degli sponsali e del matrimonio condizionale, ora in " Grandezza e miseria " del diritto della Chiesa, a cura di F. Margiotta Broglio, Bologna, 1996, pp. 259-269.

49 A. Albisetti, Contributo allo studio del matrimonio putativo in diritto canonico. Violenza e buona fede, Milano, 1980, riassume le tappe del progressivo definirsi dell'istituto nel diritto della Chiesa (pp. 19-24), discutendo criticamente alcune ricostruzioni storiche (pp. 19-20, in nota).

50 Come è stato segnalato, una delle funzioni cui intendeva assolvere la forma obbligatoria ad validitatem del matrimonio introdotta dal Concilio di Trento, fu quella di offrire " ... la garantía de los derechos de las partes más frágiles en la eventual conflictividad matrimonial, incluso en la negación misma del matrimonio celebrado " (cfr. A. De La Hera, Sobre el signo nupcial y los diversos significados de la forma: algunos temas para el debate, in Aa. Vv., Matrimonio. El Matrimonio, cit., p. 543). Garanzia che in quel contesto storico il diritto canonico perseguì imponendo la formalizzazione dei rapporti di coppia.
Sintetizzando le più recenti ricerche sugli archivi dei tribunali ecclesiastici nel periodo che precede e segue le innovazioni legislative sulla forma matrimoniale del Tridentino (faticosamente affermatesi), S. Seidel Menchi, Percorsi variegati, cit., p. 28, ha rilevato come "... i risultati delle esplorazioni finora condotte convergono nella conclusione che i giudici ecclesiastici fossero nella maggior parte dei casi fedeli e perspicaci interpreti - qualche volta perfino arditi promotori - di una norma consensualistica, che in definitiva favoriva i soggetti deboli, in particolare le giovani donne prive di risorse che non fossero la loro bellezza "; peraltro, era la solennizzazione del matrimonio con un rito pubblico a costituire, per le donne, la garanzia sociale della sussistenza materiale (pp. 39-40).

51 Cfr. M. Palazzi, Donne sole. Storia dell'altra faccia dell'Italia tra antico regime e società contemporanea, Milano, 1997, p. 237.

52 Si prende a prestito la frase da S. Domianello, I nuovi studi di diritto ecclesiastico comparato: problemi e tendenze, in Quad. Dir. Pol. Eccl., 1997/2, p. 389, che la formula in rapporto a una concezione dello jus publicum ecclesiasticum intesa come ricerca di alleanze libertatis et cooperationis; ma è sembrata valevole anche per lo jus ecclesiasticum tout court, in continua tensione verso obiettivi di giustizia materiale che vadano oltre le imperfette cristallizzazioni storiche dei canoni.

53 Cfr. per tutti P.A. d'Avack, Cause di nullità, cit., pp. 444-445 e, amplius, A. McGrath, O.F.M., A Controversy Concerning Male Impotence, Roma, 1988.

54 Per maggiori dettagli sull'" effetto filtro " determinato in proposito dalla codificazione del 1917 in materia cfr. E. Dieni, Tradizione "juscorporalista", cit., pp. 470-479.

55 Sulle motivazioni ulteriori rispetto a quelle tecniche di razionalizzazione e semplificazione che mossero i codificatori del 1917 cfr. L. Kondratuk, Le Code de 1917 : entre nécéssité technique et catholicisme intransigeant, in Rev. Dr. Can.¸51(2001), pp. 305-321.

56 In effetti, sotto l'impero della codificazione del 1917, e pur dopo il Vaticano II, è stato segnalato che il diritto canonico avrebbe di che giovarsi da un'ispirazione più decisa al diritto comune: cfr. G. Lesage, Les droits, cit., p. 867, e gli autori richiamati in nota.